Abbiamo detto sopra della cascata Mustang. Con molta probabilità è stata proprio questa a colpire l’attenzione di torrentisti che passavano di lì e far nascere in loro la curiosità di come fosse il torrente al di sopra di questo straordinario gioiello della natura.
I primi, nel 2007, furono un gruppo di speleo-torrentisti francesi che organizzarono una pre-spedizione per capire l’entità dell’impresa.
Nel 2009 un gruppo di 10 torrentisti Francesi affrontano la discesa dell’ultimo tratto di torrente utilizzando un accesso da basso e aprendosi letteralmente la “strada” nella foresta con il machete: questa è diventata a tutti gli effetti la sola unica possibilità di uscita per chi vuole affrontare la discesa integrale e da qui sono circa 1000 metri di dislivello, per circa un chilometro di sviluppo.
Dopo aver esplorato la parte terminale del torrente, il team francese si rende conto che a monte di questo tratto vi è un’altra parte molto lunga da esplorare.
Dopo aver fatto delle ulteriori indagini e sopralluoghi, anche con l’utilizzo di elicottero, il team francese organizza per l’anno 2011 una seconda spedizione atta ad esplorare la parte superiore del canyon. Si formò una squadra composta da 12 membri, 2 dei quali nepalesi.
Individuarono una vecchia traccia che salendo dal villaggio di Tal consentiva di arrivare a dei pascoli in quota. Da qui, dopo aver valicato il passo a 4250 metri di altitudine, riuscirono a raggiungere finalmente il greto del torrente.
Ma nacque subito un grosso problema: il team sottovalutò l’entità dell’impresa. Infatti si considerò di effettuare la percorrenza in una sola giornata, cosa che, con il senno di poi, capirono essere impossibile. Dopo 18 ore di progressione ininterrotta furono costretti a fermarsi all’interno del canyon in un luogo decisamente inospitale ed istallare un bivacco di fortuna.
Erano ancora ben lontani dall’uscita e, provati dalla fatica, stremati dal freddo e dalla fame, il mattino seguente tentano una via di fuga che in realtà consentì loro soltanto di effettuare un lungo bypass, per cenge esposte. Così facendo evitarono una grossa porzione del canyon ma, poi, furono costretti comunque a rientrare nel torrente continuando la progressione classica. Giunti nuovamente su una parte molto tecnica del torrente, avendo anche problemi all’attrezzatura per istallazione degli ancoraggi, decisero di effettuare un secondo e poi un terzo lungo bypass che alla fine li portò al fatidico punto di “sforro”, che da quel momento viene soprannominato “Rescue Point”. Sostanziamente giunsero nel punto dove, nel 2009, entrarono nel canyon per affrontare la parte bassa.
Nello stesso periodo del tentativo esplorativo sopra citato, ad opera dei Francesi, un socio CAI della Sezione di Como, Andrea Forni, si trovava in Nepal per partecipare al raduno internazionale di Torrentismo, organizzato dalla Scuola Nazionale Francese. Venuti a conoscenza dell’incompiuta opera, nasce in lui la voglia di provare ad affrontare questo gigante.
Nel 2017 Andrea conosce Olda Stos, che con un team di speleologi russi ed Ucraini stava pianificando la spedizione per tentare per la prima discesa integrale in autonomia del Chamje Khola.
Dopo qualche occasione di incontro con gli organizzatori, nel febbraio 2018, 3 soci CAI della Sezione di Como, tra cui lo stesso Andrea Forni, partì alla volta del Nepal per unirsi alla spedizione.
Riunito il team, il 17 febbraio partì la spedizione. Come già accaduto per i Francesi del 2011, ci vollero 2 giorni per affrontare il lungo trekking di avvicinamento e raggiungere l’ingresso del Canyon ed iniziare la progressione in giorno 19.
Purtroppo durante la discesa emerse ben presto la scarsa esperienza torrentistica della componente speleologica del team che, unitamente a problemi comunicativi, determinarono un grande rallentamento nella progressione.
Anche questa spedizione, fatalmente, sottovalutò i tempi di percorrenza che obbligaro la squadra ad approntare due bivacchi in più rispetto a quelli pianificati, per la sola percorrenza della parte superiore del Canyon.
Alcuni tratti precedentemente bypassati dai Francesi furono percorsi, ma anche questa spedizione si fermò di fronte al “black hole”.
Venne così chiamato dai Francesi che nel 2011 che si trovarono di fronte un passaggio “impossibile”. Una spaccatura nella roccia che inghiotte il torrente! Le pareti di roccia sui tre lati sono alte centinaia di metri. L’acqua precipita in un baratro largo pochi metri la cui profondità non è visibile poiché interamente invaso dal flusso dell’acqua!!
Nonostante l’approntamento da parte degli Italiani di un ipotetico accesso a questa parte del percorso, il resto della squadra decise di by-passarlo. Ancora una volta il Chamje Khola restò inesplorato per un tratto del percorso piuttosto consiste (più che altro il più pericoloso), nonché per alcune porzioni successive, determinando di conseguenza il fallimento dell’impresa, oltre al fatto che, giunti al “Rescue Point”, il capo spedizione decise di non continuare, decretando così il definitivo “fallimento” del tentativo di discese integrale del canyon.